
Sono trascorsi quattro mesi. Praticamente Frida Giannini è già morta e il marchio Gucci è già rinato, mentre la stampa generalista ha già finito tutti i tempi e i modi verbali coniugabili: passato, presente, futuro, ma anche trapassato, imperfetto, prossimo e remoto, sono stati intensamente parafrasati per dare un senso ricercato all’effetto-cantina di Alessandro Michele.
Eppure basterebbe dire che lui ci piace perché è un hipsterone con la barba, skinny neri e tshirt bianca, e che le sue collezioni per la maison Gucci, fino ad oggi, ci piacciono perché sembrano tutte uguali, dall’uomo alla donna, dal prêt-à-porter alla cruise. La sfida è riconoscere quanti mercatini e quanti decenni sono stati accozzati in un unico outfit.
Pertanto non c’è assolutamente bisogno di coniugare i verbi quando si può utilizzare un unico imperativo – “indovina!” – e non c’è tantomeno bisogno di suggerire ad Alessandro Michele di cambiare: vogliamo almeno altre sei collezioni uguali, così, modelli e modelle con l’archivio scompigliato addosso, popolando le passerelle di ricordi che nessuno ha, dando ai giovanissimi una sensazione fresca di cultura.
Vogliamo almeno altre sei collezioni uguali perché siamo sicuri diverrebbe un’operazione efficace, in piena linea con il concetto di virale, lo stesso applicabile ai ghiaccioli-gadget preparati da Miuccia Prada per l’Instagram dei suoi invitati (“Succhiatemelo tutti!”, cit.) come alle sua icone un po’ pixellate di occhi, freccette e conigli su maglioni e minidress.
Qui, oltre alle autocitazioni di gonne-midi, i multistrati sbigolati, le braghette, le zip, il pitonato, gli zaini ingranditi abbastanza per viverci dentro e le scarpe bruttissime ma bellissime perché indossate col doppio calzino, c’erano anche i razzi in pancia, omaggio diretto al bambino di Shining, e le automobili giocattolo sulla scia di quelle sfreccianti apparse nel 2013 in “Castello Cavalcanti” by Wes Anderson.
Il tutto come sempre molto cliccabile, molto social e socialite, molto repost, retweet e re-a-prescindere. Anche se la Signora, in conferenza stampa, avrebbe aggiunto: “si muore da umani e non su Internet”.
Allora come non detto: d’ora in poi meglio evitare il raggio di commenti intorno a “mi fa morire” e “oddio muoio” per ritornare alla più vera realtà. Basta che ci mettiate un maxi-schermo davanti alla Fondazione per guardarci in diretta la sfilata e finalmente capirci qualcosa tutti insieme, ché alle 18.00, di domenica, cara Miuccia, nella più vera realtà, si fa ape.