
Giusto il tempo di uno scambio di merende e sarebbe in grado di cucirti addosso un abito patchwork di lana cotta, carta crespa e colori giotto, per farti sentire la principessa del suo mondo, dove, al posto d’ogni incanto, ci sono solo ginocchia sbucciate e gelato sbrodolato.
Perché dietro all’occhio blu e al muscolo tonico di Simon Porte Jacquemus, si nasconde il compagno di giochi che tutti avremmo voluto avere: all’asilo, alle elementari, alle medie. Forever.
Il designer francese – già roba da veri fashionisti nonostante i 25 anni – è uno di quelli che al nero ha sempre preferito il blu, che ai quadretti ha sempre preferito le righe e che alle emoji moschiniane continua a preferire un sole disegnato a pennarello.
È uno di quelli che non esiste altra scarpa al di fuori di un’adidas bianca (Raf Simons e Phoebe Philo pregate per lui), che gli ombrelloni da spiaggia s’indossano (Le parasols de Marsille, P/E 2015) e che le sfilate si allestiscono in piscina (La piscine, A/I 2013), anticipando Prada (Uomo P/E 2015).
Ma Simone Porte Jacquemus è anche uno di quelli che al momento giusto si fa serio, riportando il volo del concetto a una dimensione primitiva, stilizzata, multi-comprensibile, pura.
Per l’ultima collezione A/I 2015 è infatti riuscito a spiegare, con un linguaggio della moda scomposto, eppure altrettanto universale, le forme del Surrealismo a un front-row di bambini mai cresciuti: collage tridimensionali, squadrature, monocromi, pezzi di un corpo frantumato che camminano, strutture oversize, capezzoli, oblò, nodi, mani e, soprattutto, doppie facce (proprio lui che è il mago del trittico instagrammato).
In quelle, se da una parte viene appurata la trasposizione in make-up della tematica surrealista del doppio (inteso come sottile doppio senso, ma anche come ambiguità e specchio-riflesso), si scopre in realtà un più profondo e disarmante aggroviglio d’attori: 1) Elsa Schiaparelli, perché nel 1934 propone miniature di mani come bottoni, fibbie e spille; 2) Man Ray, perché nel 1936 si serve delle mani in miniatura di Elsa Schiaparelli per immortalare Dora Maar; 3) Dora Maar, perché nel 1937 è trasfigurata in un ritratto di Picasso
4) Picasso, perché ha ispirato le contemporanee doppiezze fotografiche di Sebastian Bieniek 5) Sebastian Bieniek, perché ha ispirato la sfilata di Simone Porte Jacquemus. 6) E Simone Porte Jacquemus perché ha rimescolato il tutto, ha abbracciato la lunga storia per scrivere la propria, è andato indietro e poi in avanti, trainandoci tutti dentro ad un vortice blu, verde, bianco e begiolino, che sa di giostra, che sa di puzzle e forse persino di gomma.
Da masticare una volta finita la merenda.