C+C = Maxigross: Ruvain

Somiglia ad una favola dei tempi che furono, quelli in cui la distanza emotiva, introspettiva e sociale, tra il musicista amatoriale e il mondo dorato a cui anelava, non era poi così invalicabile: un Ep auto-prodotto, Singar, che in cimbro (l’antica lingua morta della Lessinia, ndr.) suona come “cantare”, registrato per riempire i pomeriggi nel villaggio della Lessinia (appunto) in cui si vive da sempre, ma che invece si rivela un esordio discografico folgorante, che spalanca le porte ad esibizioni transoceaniche negli Stati Uniti, un miraggio per qualsiasi gruppo italiano.
E invece loro, i C+C=Maxigoss, abituati a pascoli e passeggiate per boschi, riescono dove altri hanno rovinosamente fallito, produrre un album dall’ampio respiro internazionale (in questo può aver giocato un ruolo chiave anche il coinvolgimento di Marco Fasolo dei Jennifer Gentle nel progetto, veterano del mercato internazionale).

Perché è questo in definitiva Ruvain (“rumoreggiare” nella loro amata lingua), un’ opera musicale che non ti aspetti da un esordio nel belpaese: 14 tracce che trasudano psych folk ammiccante al pop, armonie vocali degne del miglior Brian Wilson, testi scritti in inglese, spagnolo, italiano (L’attesa di Maicol), cimbro. Tutto ciò unito ad un forte senso identitario, come una quercia secolare radicata nella loro Vaggimal. Ed è proprio da questa perfetta alchimia, che assorbe l’alterità per poi riconsegnarla come qualcosa di proprio, che sta la grandezza di Ruvain. Parafrasando le parole dei nostri, “è la documentazione cruda e sincera di jam session notturne, a base di armonie vocali. Jam session spesso finite all’alba, quando il paese di Vaggimal si sveglia per iniziare una nuova giornata”.

E il senso del risveglio, del sorgere dal torpore per scoprire un’esplosione di colori e felicità avvolge tutte le tracce, trovando il suo tripudio in passaggi come Pamukkale in E (registrata in presa diretta in analogico) o Uno Tempo, ed evocativa è l’impressione (nell’accezione pittorica del termine) dello spaccato prealpino che si va a esplorare con lo scorrere delle tracce: viaggi fisici e mentali, paesaggi di collina, ruscelli, giorni della settimana da dimenticare (Ten Dark Wednesday), marinai spagnoli (Josè) e panettieri notturni che, loro malgrado, sono catalizzatori per la traccia fondamentale dell’album, Testi’s Baker/Jung Neil: 10 minuti e 3 secondi di sperimentazione sonora e fantasie lisergiche, figli legittimi di un’improvvisazione elettrica che può nascere solo in seno all’esperienza della registrazione in presa diretta, vero punto di forza di Ruvain, e emozionalmente e musicalmente tutto Singar in un solo pezzo.

Ruvain

Un disco vero, opulento ma mai barocco, corale, magico ed evanescente; la conferma che là, nel nord-est del paese che sembra una scarpa, di cantastorie raminghi capaci di far sognare rendendo magica la realtà che li circonda ce n’è come pochi.