
*US slang – eufemismo che esprime sorpresa, anche usato ironicamente (perdindirindina! accipicchia! acciderbolina! perdincibacco! n.d.r.)
Un tempo erano le classi abbienti: vestivano caro e dettavano mode. I miserable le osservavano dal basso, dai gradini più impolverati della scala sociale, provando a (fingere di) essere uno di loro. E mentre riuscivano nell’imitazione delle fogge, agiati e cortigiani avevano già trovato la nuova chiave per distinguersi. Di conseguenza, la precedente moda, ora in pasto agli indigenti, non era più da definirsi tale e il ciclo riprendeva naturalmente il suo corso.
Se traspostiamo tale legge ai giorni nostri, possiamo affermare con sicurezza che: quando una tendenza arriva sugli scaffali di H&M, essa stessa muore, andando a perdere interamente il suo carattere di esclusività per assumere un (non) valore collettivo.
Un esempio? Le Creepers shoes. A colpi di fast fashion, oves et boves se le sono infilate, con la speranza di essere scambiati per londinesi in vacanza a Milano. Attenzione: è bene ricordare che la loro storia non risale alla primavera del 2011, quando Miuccia Prada ci martellava i sogni con le sue stringate maschili – tomaia in cuoio, suola di paglia e centimetri di gomma colorata facevano la differenza, certo, ma non corrispondevano affatto all’originario modello fifties.
Lo sa bene George Jamie Cox, che nel 1949 introduceva sul mercato inglese le primissime brothel creepers, trasformandole di lì a poco nel pezzo iconico – tuttora vigente – del suo brand di footwear. Segno distintivo: suola alta o molto alta, a cui si aggiungono fibbie, cuoio e suede.
Da Elvis Presley, che le decantava “blue”, se le sono via via passate tutti: teddy boys, mods, rockets e punks. Poi noi. Noi che, più che animati da spinte rivoluzioniste, siamo armati di nostalgie.
Un paio di creepers non è che un mezzo vestimentario in grado di catapultarci in un decennio passato, diminuendo i nostri rimpianti. Ma ciò basta a giustificare l’attuale contagiosa mania? George Cox, difatti, non è da solo; si fa forza grazie ad un’accoppiata di collaborazioni. Assieme a Red or Dead, che in Camden Garden affonda le sue radici, ha creato una collezione limitata, insuolando a dovere i tipici modelli di calzature maschili, ovvero innalzando polacchini e loafer. Ancor più rilevante è il lavoro d’equipe con il designer Dominic Webster, a capo della più giovane – e ancora una volta britannica – etichetta Purified. La soluzione finale è da dichiarare neo-classica: mocassini e stringate si svecchiano a dimostrare che “la formalità cambia forma”, abbracciando forte lo streetwear. Sfilano in strada laboriose variazioni di pellame, declinate in colori neutri – bianco, nero e cotto – per un design allo stato puro. Del resto, lo dice la parola, è purified. Seguono i vari NEXUSVII, A Bathing Ape, ASOS, Luker by NEIGHBORHOOD, Fred Perry etc.
Tuttavia, creepers e simil-creepers sono indossate per la maggior parte da chi non ne conosce la vera evoluzione, nonché l’autentico iniziatore e magari le compra firmate Underground, ennesimo marchio british che a George Cox ha solamente da invidiare il brevetto. Non si discute sull’evidente influenza rock’n’roll, né sulla vasta gamma di combinazioni cromate; ci sono le fantasie a pois, il total black e l’animalier, confermando il “creeperiano” dilagare a macchia di leopardo.
Quindi, se ancora non ne possedete un paio, occorre affrettarvi. Le trovate su qualsiasi sito di shopping online, ASOS compreso. Un consiglio: imitazione dell’imitazione a parte, sarebbe bene conservare la propria statura biologica. Perché intorno a voi, di qui all’estate, saranno tutti cresciuti di almeno due dita. Pertanto, distinguetevi in bassezza e la moda delle creepers, prima o poi, creperà.