
«This is just the best way to put order into my life»
Che si parli di editoriali, commerciali, musica o photodiary, gli scatti di Valeria hanno un’impronta distintiva, un marchio che parla di lei e delle sue giornate, dei suoi gusti e di un universo estetico che traspare in maniera chiara e personale.
Valeria Cherchi è una giovane fotografa italiana, con base a Londra, di cui abbiamo già parlato e che seguiamo da tempo. Una di quelle persone i cui lavori non chiedono nessuna introduzione tanto sono capaci di raccontare una storia, la sua storia.
La contattiamo per una lunga chiacchierata per capire come lavora, pianifica e organizza la sua produzione… E molto altro ancora.
Buona lettura!
Iniziamo sempre le interviste chiedendo di descrivere le proprie fotografie in tre parole. Proviamo a cambiare: se dovessi scegliere una canzone, o un intera discografia, da ascoltare mentre parliamo, quale sarebbe?
Cambierebbe da momento a momento, ascolto tanta musica diversa. In questo periodo sarebbero sicuramente i Deerhunter. Mi accompagnano costantemente da vari mesi e non riesco a separarmene. Fluorescent Grey Ep o Halcyon Digest al top.
Tra l’altro, sul tuo sito c’è un’intera sezione legata alla musica, ai festival, ai musicisti: di quale band o cantante vorresti curare un editoriale?
Bradford Cox [sorride, n.d.r] o, avrei voluto, Mark Linkous.
Qual è la tua prima memoria legata alla fotografia? (una foto di te da piccola, le prime kodak scattate in gita, una foto perduta e ritrovata…)
Forse mia sorella che mi veste da bambola e mi fa posare immobile sul letto della nostra cameretta. E più in là negli anni decine di foto (poi rivelatesi essere tutte uguali) della Tour Eiffel in uno dei miei primi viaggi.
Hai pubblicato su varie riviste, sei apparsa sui siti di note riviste, hai partecipato a mostre: ma com’è nato tutto questo? C’è stato qualcosa, una foto, un momento esatto, che ti ha fatto capire che quello sarebbe stato il tuo, o semplicemente le cose accadono e a un certo punto ci si trova là dove si voleva essere?
Nessun momento esatto ma vari momenti che hanno scandito (e scandiscono) un percorso personale e lavorativo. O sempre pensato, e penso tutt’ora, che il trovarsi dove si vuole essere sia il frutto di duro lavoro e scelte precise (non sempre le più facili) sul dove si vuole andare.
Anche se un po’ di fortuna ci vuole sempre, io non ci credo molto. Credo più nella determinazione, nel talento e la voglia di conoscere non dimenticando mai da dove veniamo e cosa ci piace fare. Detto ciò, ancora non so quale sarà il mio futuro!
Qual è il primo vero progetto che hai realizzato? Come lo ricordi?
A livello personale é 334 pubblicato come zine da Aalphabet Libri – una serie di autoritratti e ritratti ad un amico d’infanzia scattati nelle case dei parenti (vissute solo d’estate) nel mio paese natale. Ricordo il freddo gelido posando nuda sui paviementi in pietra d’inverno.
A livello di moda La Papessa, commissionato due anni fa da Altaroma per AI Magazine.
Ricordo la felicità immensa nel scoprire per la prima volta il lavoro in team, dell’avere una modella vera, stylist con capi stupendi etc.
Studi a Roma e ti trasferisci poi a Londra per conseguire un master in fashion photography. Cosa ti affascina più della fotografia di moda?
La libertà di poter realizzare ciò che hai in mente. Credo sia bellissimo poter essere il regista di una storia o di uno stato d’animo attraverso l’equilibrio estetico di elementi che sono di per sé già interessanti, sia a livello umano (con la modella) che di design.
Come si costruisce un editoriale? Come si inventa una storia per immagini? In cosa è diverso dai commercial?
Intanto la retribuzione. I lavori commerciali sono quelli che ti permettono di campare.
Di conseguenza il cliente che investe dei soldi nell’immagine del suo brand (di solito) sa esattamente cosa vuole. La parte narrativa é spesso poco rilevante al contrario dell’editoriale. Nel commerciale i protagonisti sono i vestiti, nell’editoriale di moda i capi sono uno strumento per costruire il mood, la tua idea e la storia.
A livello di costruzione della storia credo sia un processo un po’ differente per tutti. Io vivo l’editoriale come un progetto personale, per questo mi piace, mi permette di esprimere ciò che sento. Dopo aver scoperto il tema penso a come esprimerei quella sensazione a livello visivo.
Faccio una ricerca per le ispirazioni, il mood, le location, la luce etc… penso a chi lo farei interpretare, e quindi come dovrebbere essere la modella. A seguire ovviamente c’é la parte standard del mood board, qui cerchi di riassumere tutto e fai in modo che l’idea venga colta al meglio dal team, quando tutti l’hanno colta e danno il loro miglior contributo, per me, l’80% della storia è fatta.
Mi pare, ma devi dirmelo tu, che nelle tue fotografie l’importanza di una certa estetica inglese dai colori desaturati e freddi, un certo impianto visivo che subito mi fa pensare alla Gran Bretagna sia se non costante, certo degno di nota. Penso ad esempio all’editoriale EH15, o in molti dei fashion test, o forse è una sensazione più generale. È qualcosa che arriva da lontano o un’influenza identificabile e relativa al tuo trasferimento?
Non sei la prima a farmi notare la mia estetica inglese, ma assolutamente no. Non so esattamente da cosa derivi. Forse semplicemente dal mio gusto personale e da ciò che amo guardare e vedere ma di sicuro il trasferimento in UK non c’entra.
EH15 poi è ovviamente super inglese, anzi scozzese! Lo dice anche il titolo che è il codice postale della mia casa di Edimburgo. Abbiamo scattato nel quartiere e spiaggia di Portobello, tipica archittetura locale, in una giornata di pioggia con Elliott modello scozzese. Anche volendo sarebbe stato difficile ottenere un’estetica differente!
Di Londra mi ha colpito una cosa: la possibilità di essere, indossare, vivere come si vuole, senza dover far ricorso all’ironia; ovvero si perde l’idea di media, di stile di vita nazionale: come vedi e come vivi questa città? Qual è la tua Londra, i luoghi più belli per te?
Amo Londra perché contiene (quasi) tutto ciò di cui ho bisogno a livello mentale e lavorativo. Musica, arte, ispirazioni, tante persone. Purtroppo però spesso quantità non è sinonimo di qualità. Ciò che tu dici è vero, è la prima cosa che si nota di Londra, ma questo credo sia dovuto alla quantità delle persone e dei tanti giovani nella città. In realtà la vita nazionale c’è ma è inglobata dalle altre vite nazionali satellite, di conseguenza si nota meno. Personalmente invece credo sia anche molto forte, i tratti della nazionalità londinese (non inglese) regnano ovunque, sia tra gli hipster, sia tra i banchieri in giacca e cravatta nei pub o tra le signore di mezz’età per bene che s’incontrano per l’afternoon tea. Credo che la pecca più grande della vita nazionale londinese sia la mancanza di curiosità causata dall’abitudine di avere sempre avuto (quasi) tutto ciò di cui si ha bisogno, per questo poi noi -stranieri- ci stiamo bene. Personalmente sfaterei il mito della Londra multisfaccettata, anche se ovviamente (grazie al fattore quantità) capita spesso di incontrare persone diverse e di vivere situazioni esilaranti. Ma di base azzarderei a dire che l’inglese medio è molto monotono, nonostante faccia duemila cose al giorno.
A livello di posti amo molto il Sud di Londra, mi piace dove vivo (Elephant&Castle), amo il mercato sotto casa dove compro frutta e verdura (East Street market), i Corsica Studios, Brixton e Southbank. Un’area verde che mi piace tanto sono i Walthamstow marshes.
Nel tuo blog scrivi: This is just the best way to put order into my life.
Fotografare è l’equivalente di scrivere un diario, un modo per vedere, letteralmente, quello che ci accade? E appunto l’idea di tenere un diario fotografico si mescola alle altre fotografie, ai progetti: dove inizia il lavoro e dove terminano gli scatti personali? E cosa succede, in termini personali, di possibilità di condividere con chi non è parte della tua vita, se sono le foto personali a diventare di interesse pubblico e artistico?
Personalmente quando scatto, anche se per lavoro, c’è sempre qualcosa di mio. È difficile staccarsi dalla propria personalità fotografica, a volte la tieni al 90%, altre volte se il cliente lo richiede, devi smorzarla un po’. Credo che i migliori fotografi di moda siano quelli che riescono a rendere personali, e quindi più interessanti emotivamente, anche delle immagini potenzialmente fredde.
Io tengo abbastanza separati i miei scatti “diario” da quelli di lavoro. I primi sono su facebook che uso come una sorta di blog, i secondi nel mio portoflio on-line. Mi piacerebbe col tempo fare una selezione dei miei “scatti diario” e costruirne un portoflio.
Chiudiamo con qualche domanda consueta: se dovessi scegliere di vivere in un film, quale sarebbe?
Questa é difficile!
Forse da qualche parte tra 8 ½, À bout de souffle e Mamma Roma.
Un eyecandy. Qualcosa che trovi bello e che tutti dovremmo vedere?
Le colline di Sarajevo di notte, almeno una volta nella vita.
Trovate i lavori di Valeria su www.valeriacherchi.com