
35 anni, 12 album all’attivo in 12 anni e altrettanti singoli. 1 autobiografia appena uscita e l’onore di esser stato, insieme a Peaches, la punta di diamante della label tedesca Kitty-Yo. Diviso tra l’Europa, dove è un artista di nicchia, e l’Asia, dove invece gli sono state dedicate numerose copertine e scene di venerazione isterica. Das ist Maximilian Hecker!
Messo da parte il crescendo strumentale di Dying, l’electrofolk di Polyester e Over, l’eleganza erotica dell’album Rose, e la dance sottoforma di ballata di pezzi come Daylight – che hanno contribuito a farlo diventare uno degli artisti indipendenti dell’era pre-social network più amati dagli internauti– il cantautore berlinese torna ancora una volta con un nuovo album, Mirage Of Bliss, e la voglia di farsi conoscere a nuovi ascoltatori.
Preceduto di qualche mese dalla rivisitazione di It’s All Over Now, Baby Blue di Bob Dylan (per la pellicola made in Germany, Schilf) e dai singoli promozionali, The Whereabouts Of Love e Summerwaste, questo nuovo lavoro di Maximilian Hecker è più in linea con la vena introspettiva del libro appena pubblicato, The Rise And Fall Of Maximilian Hecker, che con le influenze electro-berlinesi dei primi album.
Mirage Of Bliss è una sorta di trasposizione in musica di un malessere generazionale che si ripete, e che ci riporta indietro a grandi “voci” della letteratura mondiale, come quel Die Leiden des jungen Werthers (I dolori del giovane Werther, per rimanere in Germania) di Goethe, e a cui Maximilian Hecker avrà sicuramente dato almeno una lettura veloce una volta nella sua vita.
D’altronde, questo “miraggio di felicità” comincia senza smentirsi: “In a room suffused with light/ I spend my hours waiting/ Waiting for the nightfall/ And I wonder if my life/ Is blissful or appalling/ If silence is my laughter”.
Il senso di equilibro labile che contraddistingue Maximilian Hecker, anche nel titolo della sua biografia, non viene meno quindi nelle 12 tracce che compongono il nuovo album.
Dal folk timido di Treasure Trove, alle note malinconiche di Why The World Has Turned For Us, dove quel “But I must face this life alone” fa a pugni con il cantato arreso ma carico di distensione (o rassegnazione?).
E se The Forsakeness Of Raging Love ci restituisce un Maximilian Hecker pianista, la cui bravura può essere apprezzata a pieno soltanto in quei paesi (asiatici) con un forte senso della disciplina, 道玄坂 (che dovrebbe stare per Dogenzaka, un’area di Tokyo) chiude il disco con la parola “death”, morte, ma noi speriamo soltanto sia riferito alla chiusura di un ciclo, di una vecchia era, con l’auspicio di conoscere meglio anche i lati meno tormentati “del giovane Hecker”.