A Portrait of: Elsa Schiaparelli

Nel dizionario, tra i sinonimi delle voci “visionario” o “sperimentale” si dovrebbe leggere il nome di Elsa Schiaparelli. Nata da famiglia alto borghese romana nel 1890, questa stilista dalle origini italo-egiziane mutò radicalmente la moda, l’approccio alla stessa, il rapporto tra donna ed abito e la relazione tra moda ed arte. Il suo fu un apporto così incisivo sulla moda, e sulla cultura, che nel 2012 la sua eco risuona immutata in intensità.

A soli 18 anni Elsa si sposa e segue il marito nei suoi viaggi che la portano a visitare gran parte dell’Europa e dell’America. Per un breve periodo, la coppia vive nel Greenwich Village di New York, ma gli anni dei peregrinaggi insieme al marito teologo terminano alla nascita della figlia Marisa – conosciuta come Gogo. Abbandonata dal marito, “Schiap” si trasferisce a Parigi agli inizi degli anni ’20. Nella capitale francese, è un bozzetto di un maglione nero con un decoro trompe d’oeil di un fiocco bianco a consegnarla alla fama: nel 1928 il maglione appare nelle pagine di Vogue, ed è subito business.

Elsa affitta uno studio al numero 4 di Rue de la Paix a Parigi, e fonda il suo atelier. Dapprima si dedica all’abbigliamento sportivo, cucendo completi per il golf, il tennis e lo sci, ma presto allarga la produzione all’abbigliamento sia da giorno che da sera. All’apice della fama, Schiaparelli avrebbe poi aperto un rivenditore a Londra, mentre a Parigi si trasferiva allo storico numerò 20 di Place Vendome, dove il suo atelier rimase fino alla bancarotta del 1954.

Il panorama d’influenze utilizzate da Elsa proviene ai ricordi dell’infanzia trascorsa a Roma, che nutrirono l’immaginario della stilista della rigorosità degli abiti monacali, e della bellezza decadente delle architetture classiche. Anche l’arte, in particolar modo quella Dadaista e Surrealista, lasciò un’impronta importante nell’immaginario della stilista. “Schiap” infatti lavorò a stretto contatto con Salvador Dalì, con il quale realizzò il famoso vestito con aragoste stampate su organza, l’audace tailleur con tasche-cassetti, o gli irriverenti cappelli a forma di scarpa o di cervello. Se per I Dadaisti un’opera doveva essere “bella come un ferro da stiro su un tavolo operatorio”, il processo creativo di Elsa non era poi troppo distante. L’inaspettato, l’incredibile, l’anti-convenzionale furono il suo pane quotidiano.

La Grande Depressione degli anni 20, che aveva represso e castigato la moda, fece da propulsore per i suoi abiti stravaganti, esagerati e creativi. Nella convinzione che la donna dovesse provare e provocare, osare, esagerare, Elsa Schiaparelli proponeva un’estetica al contrario. L‘ugly chic oltrepassava ed oltraggiava i limiti del “buon gusto” borghese, per vestire la donna di abiti sensazionali e sensazionalistici che la rendevano bella, perchè fuori dagli schemi.

La chiusura zip – elemento solitamente nascosto – divenne un segno distintivo, un dettaglio decorativo dei capi Schiapparelli che la tinse, per la prima volta, di un colore diverso da quello dell’abito per mantenerla bene in vista. Fu sempre lei a disegnare i guanti con le unghie – ripresi nel 2011 da Dominic Jones, o il tailleur al contrario – riproposto da Karl Lagerfeld negli anni 80.

Ancora, è Elsa a creare i primi abiti con stampe di animali e ad aggiungere spalline a giacche e vestiti. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la riapertura dell’atelier, Schiaparelli non lasciò spazio all’umore austero del dopoguerra, e ideò lo “shocking pink” una tonalità di rosa molto acceso, quasi rosso, che divenne il suo trademark.

Il mese scorso, paralllelamente alla retrospettiva del Metropolitan Museum di New York su Elsa Schiaparelli e Miuccia Prada intitolata, Impossible Conversations, la notizia del rilancio del marchio. Dopo l’acquisto da parte del Gruppo Valle nel 2007, lo storico numero 20 di Place Vendome viene riaperto e nel 2013 una rinata maison Schiaparelli sfilerà durante la settimana dell’haute couture parigina. Un altro tentativo di riportare alla luce maison storiche, come è già avvenuto per Berluti e Genny. Il mission statement del rilancio è quello di mantenere la matrice visionaria di Schiap, e di tradurla in modo da inserirsi senza intoppi nella modernità.

Shocking Life è il titolo dell’autobiografia della stilista. Non a caso, perchè quella della maison Schiaparelli è stata una storia sconcertante sotto ogni aspetto: scioccanti i colori, scioccanti i dettagli, scioccanti le forme. Scioccante Elsa stessa, che fece di un surreale sensazionalismo il suo credo. Un credo ereditato, consciamente o meno, da tutti gli stilisti dopo di lei. Il capitolo Schiaparelli è appena stato riaperto, ma forse, non era mai stato chiuso.