
Fotografia e pittura, connubio perfetto sin dall’alba dei tempi.
Pennellate di colore e pennellate di luce, sono questi i segni che contraddistinguono Antonio P. (che preferisce lasciare un alone di mistero intorno alla sua identità).
Poche domande, brevi risposte ma si riesce comunque a capire che qui c’è del talento.
Generalmente dipingo ciò che non può essere fotografato e fotografo ciò che non desidero dipingere.
Se mi interessa un ritratto, un volto, uso la macchina fotografica; è un procedimento più rapido che fare un dipinto o un disegno.
Quando ci sono cose che non possono essere fotografate, come un sogno o un impulso inconscio, allora devo fare ricorso al disegno o alla pittura.
Per me la fotografia è lo specchio dell’immaginazione.
Piuttosto che dare un immagine convenzionale di un volto, di un paesaggio, preferisco prendere un fazzoletto, torcerlo come voglio, e fotografarlo come mi pare.
Antonio, qual’è stato il tuo primo approccio fotografico?
10 anni, una Polaroid.
Qual è il mondo che osservi attraverso il tuo obiettivo?
Mi interessano le fotografie quando testimoniano delle situazioni.
Non mi interessano le persone per il gusto di ritrarle, sono interessato a loro perché esistono.
Analogico o digitale?
Entrambi.
Cos’è che ti ispira maggiormente?
I dipinti di Francis Bacon.
Alcuni dei fotografi che ammiri?
Michael Ackerman, Roger Ballen, Francesca Woodman e Jacob Aue Sobol.
Un luogo, un libro e una canzone
Parigi, la raccolta di poesie di Sylvia Plath e una canzone?
Non ho una canzone preferita ma musica, Le Gymnopédies, le tre opere per pianoforte composte da Erik Satie
Vi lasciamo il suo Flickr.