Un tè con Rubens Cantuni

Nato a Genova nel 1982, lavora come art director in un’agenzia pubblicitaria e come illustratore freelance per brand nazionali ed internazionali. Finalista al contest Cut & Paste 2009 di Milano, ha esposto in mostre collettive ed eventi a Berlino, Parigi, Losanna, Atene, Criciùma (Brasile). I suoi lavori, dai sapori contrastanti tra il funny e il sensuale, l’ironico e l’inquietante, traggono ispirazione dalla cultura giapponese, l’arte del tatuaggio, la street art ed il pop surrealismo americano. Recentemente è stato segnalato come uno dei 10 creativi più promettenti del 2010 dalla rivista Digital Artist.
Questo è Rubens Cantuni, il nostro ospite di oggi.

Illustrazione, grafica e fumetto settori molto attivi e prolifici in Italia, tuttavia fanno fatica nell’averne riconosciuto il valore. Perchè secondo te?
Per primissima cosa grazie dello spazio e dell’interesse che mi concedete. Penso che le motivazioni siano molteplici. Innanzitutto c’è, e non solo in Italia, il sentimento diffuso che se uno fa un lavoro che gli piace allora non è un vero lavoro, è un hobby e va retribuito come tale (cioè quasi nulla). C’è una diffusa ignoranza sul fatto che oggi “fai tutto col computer, clicchi di qua e di là e via. Anche mio nipote è bravo con Photoshop…” e poi chi fa un lavoro per il quale non si suda e non è obbligatorio aver conseguito un titolo di studio è sicuramente un perdigiorno (o un politico). E’ un male che affligge tutte le professioni “artistico-creative”, a meno che tu non abbia sfondato sei un sognatore e dovresti crescere, ma un conto è se suoni o canti, un conto è se disegni. Quando faranno un X-Factor per illustratori/graphic designer ne riparleremo. Basti pensare che in Italia non c’è un albo dei graphic designer, non esiste un esame di Stato per essere riconosciuti designer o art director, quindi qualunque smanettone con un macbook può dirsi un professionista. E’ un discorso molto lungo sul quale potremmo dilungarci per ore, e il rischio di dire “le solite cose” è altissimo, mi fermo qui.

Conosci l’AI, l’Associazione Illustratori Italiana? Sei iscritto, cosa ne pensi?
Sì, di nome, ma non ho nessuna esperienza diretta in merito, non sono iscritto. Non ho nulla contro questa o altre associazioni, ma non ci credo molto, non riesco a comprenderne del tutto l’utilità (ma sono prontissimo a ricredermi). Inoltre non mi riconosco neanche nella figura del “classico illustratore”, voglio dire, scorrendo la gallery dell’AI, ad esempio, le illustrazioni che vediamo sono in stili molto editoriali e/o orientate all’infanzia/educazione. Io davvero ci starei come un pesce fuor d’acqua, proverei un certo disagio, devo dire (per non dire complesso di inferiorità).

Parliamo dei tuoi lavori. Il tuo cliente medio chi è?
Attualmente ho lavorato principalmente nell’ambito del t-shirt design per brand emergenti/indipendenti, e recentemente ho realizzato diversi lavori per un brand di moda piuttosto noto ai giovani, ma essendo tutti lavori di future collezioni (estiva e presto invernale 2011) non ho ovviamente potuto ancora pubblicare nulla. Ho lavorato anche con alcuni musicisti, principalmente rap/hiphop, dell’area londinese e svariati altri, ma ancora nessun grande nome (anche se ne ho sfiorato uno gigante mesi fa! Peccato)

La tecnica con cui ti trovi più a tuo agio?
Per questioni di versatilità, questioni estetiche e di gestione dei lavori, l’illustrazione vettoriale è sicuramente la tecnica che preferisco e con cui mi esprimo di più. Tuttavia, tempo permettendo, cerco anche di tenere il contatto con il mondo analogico, facendo schizzi a matita, pennarello e dipingendo. Male.

I tuoi abituali strumenti di lavoro?
Il mac ovviamente, una tavoletta wacom tutt’altro che eccezionale, uno schetchbook, anzi diversi a dire il vero. Ho una specie di feticismo per i blocchi da disegno, quindi quando ne vedo uno che mi piace lo compro, ci disegno un po’, dopo magari passo a uno nuovo, o uno più vecchio, poi ci ritorno.
Poi matita, pennarelli e le solite cose.

Che rapporto hai con il digitale?
Come si è già capito dalle risposte precedenti: ottimo. Purtroppo se, come dicevamo prima, il valore dell’illustrazione fa fatica ad essere riconosciuto, il valore di quella digitale fa ancora più fatica. Intendiamoci, io stesso apprezzo il valore, il calore di un disegno realizzato con metodi tradizionali e riconosco che siano necessarie molte più competenze a livello pratico, ma sarebbe bello vedere ogni tanto anche qualche mostra di digital art come si deve (e non 4 filtri di Photoshop su una foto spacciati per arte digitale, come spesso accade) anche in Italia.

E con il web?
Il web è per me croce e delizia. Sono un grandissimo fan di internet (arrivando in alcuni miei deliri tra amici a definirlo “una delle più grandi invenzioni della storia dell’umanità”) e solo pensare a come sarebbe più difficile la nostra vita oggi senza il web mi sembra un incubo. La conseguenza è che spesso è anche una distrazione. Magari devo finire un lavoro e mi perdo ad aggiornare Facebook o a vedere video idioti su YouTube o chissà che altro. Ma è altrettanto vero che la visibilità, i lavori, le mostre, le pubblicazioni e tutto quanto abbia ricevuto finora in veste di illustratore/graphic designer lo devo ad internet. E’ un mezzo fondamentale al giorno d’oggi e credo che nessun professionista possa ormai farne a meno.

Dove trai ispirazione per le tue creazioni?
Da tantissime cose. Cultura pop ad ampio raggio, dal cinema al fumetto all’arte contemporanea, specialmente il pop surrealismo e la lowbrow art dell’area ovest degli USA. E una grande impronta sui miei lavori ce l’ha l’arte del tatuaggio, da quello tradizionale giapponese, che ritengo il picco massimo di questa forma artistica, ai traditional americani marinareschi e rock ‘n’ roll.

Tokyo Candies ci dovrebbe far intuire già qualcosa. La tua passione per la cultura giapponese, giusto?

Sì, sono un figlio della mia generazione, e come tanti sono vittima della TV commerciale degli anni 80-90. Anche se sono tutt’altro che un otaku. In passato ho letto dei manga e ci sono opere fantastiche (per disegni, storia e ambientazione consiglio a tutti Alita di Yukito Kishiro) degne dei migliori romanzi, ma da un certo punto della mia vita in poi l’interesse è andato via via scemando, focalizzandosi più sugli aspetti socio-culturali del Giappone e del suo popolo e sull’affascinante commistione di tradizioni antiche e ipermodernità. Sono tornato dal mio secondo viaggio nel Paese del Sol Levante meno di un mese fa ed è incredibile come non mi sazi mai di quei posti e quella gente. I giapponesi sono un popolo del quale senti la mancanza quando torni a casa, perchè se anche spesso possono risultare maniacali ed esagerati in alcuni atteggiamenti, l’estrema educazione e rispetto che sono soliti usare ti fa capire che si potrebbe vivere in una società molto più civile, soprattutto nelle piccole cose.

Ha esposto in mostre collettive ed eventi a Berlino, Parigi, Losanna, Atene, Criciùma (Brasile), leggiamo nella tua biografia. Nessuna città italiana, come mai?
Probabilmente perchè, come dicevo in precedenza, l’arte digitale non è ancora percepita come arte, ma come un qualcosa alla portata di tutti, per il quale non sono necessari estro, ispirazione e abilità tali da meritare di essere esposti ad un pubblico. Sia chiaro, anche all’estero non è che abbia partecipato a mostre al MoMA o chissà dove, sempre piccole gallerie o eventi, però è già qualcosa. Può comunque essere benissimo che molte siano state le mostre di arte digitale in Italia e io non sia stato ritenuto all’altezza, niente da dire, ci mancherebbe, ma almeno invitatemi a vederle!

Parliamo un pò di KoiKoiKoi. State avendo un buon riscontro con i vostri lettori?
Sì, siamo molto soddisfatti. Non ci aspettavamo un tale successo quando abbiamo cominciato 2 anni fa. Oggi riceviamo moltissimi contatti, in termini di visite, ma anche di creativi, studi, agenzie, case di produzione che vogliono un posto nella nostra vetrina, studenti che ci chiedono consigli e semplici appassionati che ci ringraziano per il nostro servizio. E’ davvero una grande soddisfazione.

La scelta della doppia versione italiano/inglese, volontà o necessità?

E’ stata una scelta dettata dalla nostra voglia di raggiungere un pubblico più vasto ed è stata una mossa vincente. Nè io nè il mio amico/collega/co-fondatore Danilo siamo madrelingua inglese, nè esperti anglofoni, quindi spesso ci saranno degli errori e dei giri di parole un po’ tortuosi, ma sul nostro sito parlano decisamente le immagini, quindi quello della lingua era più che altro un muro immaginario che abbiamo voluto abbattere.

Come spieghi il successo del vostro sito rispetto agli altri migliaia che trattano medesimi argomenti?

Sicuramente ha influito molto la scelta degli argomenti. Siamo abbastanza selettivi e non ci piace buttare dentro cose nel calderone tanto per fare mucchio e aggiornare di continuo. La selezione è fondamentale nello “stile koikoikoi”, anche i nostri collaboratori hanno la consegna di comunicarci, prima di scrivere il post, quale sarà l’argomento, in modo che ci sia sempre controllo sulla linea editoriale che vogliamo seguire. Rispetto ai siti simili siamo molto molto poco orientati al webdesign e non trattiamo per nulla fashion e industrial design e siamo piuttosto specializzati nella street art e nei movimenti artistici della west coast che citavo in precedenza. Siamo più San Francisco che Milano (anche perchè siamo di Genova). E probabilmente i lettori hanno apprezzato questa “novità”, quanto meno in ambito italiano, nel quale l’unica pubblicazione che abbiamo trovato affine è la rivista Bang Art, con la quale infatti collaboriamo.

Illustratore/artdirector di giorno e direttore di magazine di notte? Come funziona, come riesci a conciliare i due impegni?
A dire il vero sono art director in un’agenzia di giorno e illustratore e blogger di notte. Semplicemente ho smesso di dormire, ecco il trucco. Scherzo (quasi), sicuramente è impegnativo, ma sono cose che ho scelto di fare nel mio tempo libero, e se hanno preso una piega più professionale tanto meglio. Credo che ognuna di queste cose sia un’esperienza formativa molto importante.

Com’è secondo te la realtà dei blog/magazine online nel nostro paese?
Ammetto la mia esterofilia in merito. Non leggo molti blog italiani, nessuno con regolarità. La mia esperienza quotidiana sulla rete italiana si limita ai siti della principali testate giornalistiche e poco altro.

Hai mai pensato di abbandonare l’Italia?
Più che veri pensieri sono stati dei “come sarebbe se…?”, sogni ad occhi aperti. Non credo che riuscirei ad andarmene, per una questione di affetti più che altro. Anche se la classe politica e la società italiane sembrano impegnarsi quotidianamente per creare nuovi motivi che spingano i giovani ad andare all’estero. Mi piace molto viaggiare e quando sono all’estero mi capita spesso di immaginare come sarebbe vivere stabilmente, almeno per un periodo medio-lungo, in quel particolare posto. Forse lo farei se potessi portarmi qualcuno a farmi da spalla.

Progetti e sogni per il futuro?

Mi piacerebbe avere qualcosa di mio, come una linea di magliette/accessori/toys, o anche una piccola galleria. E questi sono più sogni che progetti. Progetti veri e propri non amo farne, perchè la parola “futuro” riesce sempre a mettermi un po’ di ansia. Molto meglio vivere l’oggi nel modo migliore possibile.

È il tuo giorno fortunato, esprimi un desiderio.

Fatto. Non vi aspetterete mica che ve lo dica, vero?

Ringraziando Rubens vi segnaliamo il suo sito www.tokyocandies.com dove potete trovare tutti gli altri lavori e informazioni e il link del suo magazine online per chi non lo conoscesse ancora www.koikoikoi.com